La pubblicazione di questo volume si inserisce nel contesto di un’effervescente produzione culturale che pone sempre più al centro del dibattito politico la parola d’ordine del «reddito garantito» nelle sue varie articolazioni. Che si declini questo tema nel senso del contrasto alle forme di povertà più estreme, o che lo si collochi nella prospettiva della lotta alla precarietà lavorativa ed esistenziale enormemente cresciuta negli ultimi anni, oppure ancora, che lo si pensi come vettore di trasformazione radicale della società, non vi è dubbio che la «questione del reddito» sia divenuta ormai ineludibile per tutti.
La produzione editoriale recente, molto ricca e sfaccettata rispetto agli anni passati, anche grazie alla traduzione di alcuni titoli di autori internazionali, ha accompagnato l’interesse crescente dell’opinione pubblica per un tema che ha perso l’impronta di «proposta impossibile», e che, al contrario, è divenuto una chiave per entrare a pieno titolo nel Ventunesimo secolo.
L’opzione presentata dall’Autore in questa pubblicazione è quella del reddito di base propriamente detto, cioè un’erogazione compiutamente universalistica, destinata a tutti i componenti di una determinata comunità politica, sganciata dalla condizione economica e familiare dei beneficiari, non sottoposta a vincoli di decadenza.
Secondo l’accezione del filosofo Philippe Van Parjis un basic income nella sua forma pura si distingue dai sussidi e dalle forme di assistenza oggi esistenti per la sua universalità e incondizionatezza. Il basic income si considera universale in quanto non distingue sulla base di status giuridici o di condizioni personali, ed è incondizionato nella misura in cui non sono previste condizioni in base alle quale possa essere revocato e/o non accordato. Nessun obbligo può quindi essere posto in capo al beneficiario, sotto la condizione della revoca del basic income.
Un misura del genere, in contrapposizione alle forme esistenti di assistenza sociale, avrebbe il vantaggio di corrispondere meglio all’universalismo dei diritti fondamentali, eliminerebbe qualsiasi connotazione caritatevole o lo stigma talvolta sotteso alle elargizioni assistenziali, sottrarrebbe i precari ai ricatti del «lavoro povero», ridurrebbe drasticamente le mediazioni burocratiche consentendo risparmi grazie alla gestione semplificata delle procedure ed evitando intrusioni dei poteri pubblici nella sfera di riservatezza individuale.
È chiaro che la compiuta istituzionalizzazione di un reddito universale richiederebbe un profondo ripensamento dell’intera spesa pubblica, delle modalità di produzione, della stessa designazione delle forme di creazione del valore. Si tratta di un campo di ricerca di straordinario interesse che questo volume arricchisce di alcune prospettive, prima fra tutte una prima quantificazione degli impegni di finanza pubblica che sarebbero necessari per tradurre il progetto in realtà.
Una via ragionevole per approssimarsi al reddito di base, non a caso perseguita in molti contesti a livello globale, è quella di dare vita a sperimentazioni parziali al fine di monitorare gli effetti sulla popolazione di una erogazione incondizionata di denaro. In effetti in sempre più numerose sperimentazioni che dalla Finlandia, ad alcune regioni europee (segnatamente in Olanda e in Francia), passando per la statunitense città di Oakland o la regione canadese dell’Ontario, fino ai villaggi del Kenya o dell’India, viene in evidenza la necessità di «rompere» con vecchi schemi della protezione sociale sempre più governati dalle burocrazie amministrative e incapaci di rispondere alle sfide emergenti.
A quando nel nostro paese almeno una sperimentazione per mettere alla prova il reddito di base e passare così dai «buoni argomenti» a una buona realizzazione pratica?
Luca Santini,
Presidente del Basic Income Network – Italia